L’origine del clown psicopatico più famoso di sempre tra tanti alti (e alcuni bassi).
Dopo il grandissimo successo della trilogia dell’hangover, Todd Philips torna sulla scena della ribalta con un prodotto filmico capace di innestarsi immediatamente nell’immaginario collettivo. Diventando iconico addirittura prima della sua stessa distribuzione nelle sale.
Joker narra le “disavventure” di Arthur Fleck, interpretato da un magistrale Joaquin Phoenix. Il protagonista è un clown di professione con disturbi depressivi e alienanti e con una rara patologia che gli scatena improvvise risate sopratutto nei momenti di tensione. Vive con sua madre in uno squallido appartamento di periferia, in una Gotham degli anni ’80 sempre più in subbuglio a causa della disparità sociale e della totale assenza di tutela statale per i cittadini meno abbienti.
Joker è questo: un uomo fragile che cerca di emergere come comico di cabaret in una giungla senza regole e leggi, in cui solo chi ha la ventiquattr’ore o chi ha la pistola puoi ritagliarsi il suo piccolo momento di gloria.
Fin dai primi volumi dell’uomo pipistrello, Gotham è sempre apparsa come una città squallida e sporca, con i suoi vicoli bui, le bande criminali e la corruzione fra le alte gerarchie politiche.
Stavolta però Todd Philips riesce a concretizzare questo marciume rendendolo vero, umano. Questo è certamente l’aspetto che ha deluso tutti coloro che si sono recati nelle sale con l’intenzione di vedere il volto di Phoenix truccato fin dal primo minuto. Ma è proprio questo aspetto a rendere originale la pellicola.
Joker mostra tra alti e bassi l’origine del personaggio: la genesi da pazzia repressa a pazzia liberata; più vicino al thriller psicologico che ad un film dell’universo supereroistico per come siamo abituati a vederli oggi.
Immerso in un’atmosfera underground e suburban un’Arthur Fleck interpretato da un Joaquin Phoenix sempre più poliedrico. La sua interpretazione vale da sola il prezzo del biglietto, elevandosi come uno degli attori americani migliori degli ultimi tempi e riuscendo a dare nuova linfa vitale ad un personaggio inflazionato e macchiettistico come il clown psicopatico.
Se la scrittura del personaggio e la sua rappresentazione sullo schermo sono di buon livello, così come la messa in scena e la regia (sopratutto in alcuni frangenti), stessa cosa non accade per la sceneggiatura nel suo complesso. Il film risulta per quasi tutta la durata un debole preambolo per un qualcosa di veramente interessante che però si concretizza solo nella parti finali del film.
Ci si è talmente tanto focalizzati sulla scrittura del protagonista e sulla direzione dell’attore da rendere deboli o poco sviluppati gli avvenimenti attraverso cui il film si articola, eccezion fatta, come precedentemente affermato, per la sequenza finale del film che riesce invece a tenere incollati allo schermo.

In sostanza, con l’amaro in bocca per il grande potenziale del film sfruttato solo in parte, verrebbe quasi da chiedersi, in tono provocatorio, se la pellicola di Todd Philips avrebbe ottenuto un così positivo riscontro da critica ma sopratutto da pubblico senza la fenomenale interpretazione di Joaquin Phoenix.