L’incanto spirituale di Miyazaki: la storia della coraggiosa Chihiro.
Quando durante la mia infanzia vidi per la prima volta La città incantata (film del 2001 di Hayao Miyazaki) rimasi estasiato. E’ stato il primo film Ghibli che io abbia mai visto, grazie al fatto che il primo adattamento italiano fosse relativamente recente a quel tempo e grazie anche al suo successo in Occidente, che ravvivò l’interesse globale per la Ghibli nel nuovo millennio.
E’ un film che visto durante l’infanzia, come Il mio vicino Totoro, fa tutto un altro effetto, ma c’è una sostanziale differenza, in questo film la storia di crescita della protagonista ha un respiro più adatto a qualsiasi età. La decisione di mostrare un sistema chiuso in cui far fronte alle prime responsabilità, come fossero dei lavoretti casalinghi in cui puoi ancora vivere nelle tue fantasie, ne è un primo esempio, e descrive un mondo quasi domestico in cui bene e male coesistono in un conflitto sfaccettato e non privo di amore. L’opera, dal contesto naif, è sviluppata con grande maturità perché è dotata al contempo di toni da fiaba a da elementi crudi come nel romanzo di Alice nel paese delle Meraviglie, costituendo un vero e proprio rito di passaggio e crescita interiore attraverso un molto spirituale.
La città incantata narra la storia della sparizione di Chihiro e dei suoi genitori in una città fantasma, raggiunta durante una casuale deviazione in montagna avuta durante un trasloco. Chihiro vivrà un’avventura eroica sotto il nome di Sen, pseudonimo magico datole dalla strega al comando della città e il suo compito sarà di lavorare nelle terme della strega mentre cerca di trovare un modo per liberare i suoi genitori, tramutati in animali da macello da una maledizione. Questa volta Miyazaki non decide di stravolgere il suo stile ma di declinare dolcemente i dettagli visivi per raccontare una delle sue storie più belle e sorprendenti.

Considerato il capolavoro nonché opera della maturità di Hayao Miyazaki da gran parte della critica mondiale, La città incantata è un film d’animazione in tecnica tradizionale che rappresenta l’inizio di un rinnovato livello tecnico raggiunto nelle sue opere, oltre ad essere uno degli picchi stilistici dello studio Ghibli grazie al suo stile così originale. Ma ciò che sorprende di più ancora oggi delle qualità estetiche di La città incantata, è che le forme mostruose e animate degli spiriti del film sono perfettamente inserite nello stile visivo dell’opera, che è ferma in quel periodo del cinema d’animazione in cui la tridimensionalità delle singole tavole dei frame è perfettamente amalgamata alla tecnica tradizionale. Fortunatamente l’uso non invasivo della computer grafica non è un’eccezione nel cinema della Ghibli e qui i pastelli sono sgargianti e accompagnati da tavole con piccoli dettagli inseriti e animati alla perfezione, che non intaccano la tradizione ma che la arricchiscono.

Infatti gli elementi eccezionali del film sono l’utilizzo di dettagli in altissima definizione che portò allo studio, la grande forza da narrativa di formazione che ha la grazia di essere dolcemente infantile ma con tempistiche e atmosfera da opera rilassata e matura, adatta a ogni età per livelli di lettura. Il film è a tratti occidentale per le influenze steampunk e il tocco del design e ha al suo interno comiche animate notevolmente, come le lunghe corse goffe dei mostri e dell’adorabile Sen, bimba fra le nuvole ma estremamente coraggiosa e dal grande cuore, con una grande missione da compiere.
Miyazaki crea il suo miglior film sull’infanzia, disseminando la trama di amicizie sincere, prime storie d’amore e senso di responsabilità. Anche la colonna sonora di quel grande genio di Joe Hisaishi è semplicemente incredibile, si accosta alla perfezione al viaggio di crescita di Sen, dandogli toni epici, maturi e dolci, avvolgendo la fiaba del regista con un velo di archi e strumenti a fiato perfetti, degni di uno dei migliori compositori di colonne sonore giapponesi di tutti i tempi.

La città incantata ci porta a scoprire la forza interiore di una bambina fragile ma coraggiosa, all’interno delle terme magiche di una città abitata da spiriti mostruosi come yokai laboriosi e streghe giapponesi, neonati troppo cresciuti ed essere oscuri e tentatori privi di un volto, ma non poi così maligni. Nonostante le influenze occidentali è l’opera più profondamente giapponese ed equilibrata del regista, perché presenta elementi storici, folkloristici e fantastici della cultura di riferimento, uniti a elementi moderni, che sono perfettamente amalgamati in una storia semplice, leggera e che scalda il cuore, anch’essa a tratti ecologista, leggera e impalpabile come uno spirito libero che fluttua in un posto nascosto dall’uomo materialista. Miyazaki ci ricorda della bellezza di essere dei bambini, fantasticando in mondi impossibili.