Elephant, le rappresentazioni dell’adolescenza

da | Mag 20, 2020 | Analisi

Elephant, diretto da Gus Van Sant, è un film direttamente ispirato a un fatto di cronaca, la strage avvenuta nel liceo Colombine a Portland, nel 1999: i morti furono tredici tra studenti e professori. Esce un anno dopo la realizzazione del documentario Bowling a Columbine, diretto da Michael Moore, anch’esso ispirato dallo stesso fatto di cronaca.

Un elefante nella stanza

Il titolo allude al proverbiale “elefante nella stanza”, metafora di un problema che tutti vedono ma di cui nessuno vuole parlare, ed è una citazione dell’omonimo film del 1989 diretto da Alan Clarke, sulla violenza settaria nell’Irlanda del nord. L’influenza di questo mediometraggio non si limita al solo titolo ma è visibile anche dal punto di vista tematico e stilistico.

Clarke prende il nome del film dall’espressione, tipica della lingua inglese “Elefante nella stanza” (Elephant in the room) usata per indicare una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata. L’espressione si riferisce cioè ad un problema molto noto ma di cui nessuno vuole discutere. L’idea di base è che un elefante dentro una stanza sarebbe impossibile da ignorare; quindi, le persone all’interno della stanza fanno finta che questo non sia presente, evitando così di affrontare un problema più che palese.

Ma il regista si rifà anche ad una parabola buddista nella quale alcuni ciechi esaminano le diverse parti di un elefante; ciascuno crede di conoscere la vera natura dell’animale basandosi sulla parte che ne sente al tatto, quindi credono sia un serpente, un albero o altro senza mai afferrarne un quadro tattile, e dunque immaginativo, dell’insieme. Come per questo elefante, dell’adolescenza non possiamo carpire che semplici frammenti mentre sfugge la comprensione totale.

Narrazione, formazione, caratteri, codici e luoghi

La narrazione si svolge nell’arco di una sola giornata, una come tante passata in un ambiente scolastico sempre simile a sé stesso (comprensiva di dialoghi tra ragazzi, studenti e professori, partecipazioni a lezioni, etc.). In questo modo sono resi i tratti di un trauma che si inserisce all’improvviso, allo stesso modo di una nuvola che ponendosi tra la terra e il sole ne smorza la luminosità. La trama percorre la situazione da soggettive differenti, quelle di John, Elias, Nathan e Carrie, Acadia, Michelle, Brittany, Jordan e Nicole, Eric e Alex.

Van Sant si serve di un personaggio come riferimento per segnare il trascorrere del tempo all’interno della storia e questo è il biondo John. Egli è presente in tutti gli snodi narrativi decisivi del racconto, attorno a lui ruotano le azioni degli altri ragazzi, ed è colui che chiude la vicenda ricongiungendosi con il padre lasciato in macchina all’inizio della narrazione. John è protagonista delle connessioni decisive della vicenda e sancisce, con la sua presenza, il trascorrere effettivo del tempo all’interno della storia.

ALLERTA SPOILER!

John è una guida che percorrendo la scuola ci mostra la vita scolastica e gli studenti. Lo è anche perché sin dall’inizio del film, con quel toro disegnato sulla maglietta, sembra avvertire tutti dell’imminente ‘macello’ e profetizza la scena finale nella quale Alex si prepara ad uccidere Nathan e Carrie all’interno di una cella frigorifera che contiene delle carni bovine appese a dei ganci. È buono e responsabile, si prende cura di un padre con problemi di alcolismo e, una volta arrivati i due assassini, mette in allarme le persone che stanno fuori dalla scuola. Viene punito da un preside che non si preoccupa nemmeno di comprendere le ragioni di quel ritardo e non ha possibilità di dialogo nemmeno con il padre, ma ciò non sembra abbatterlo, perché guidato dalla sua forza interiore: questo suo affrontare le responsabilità fa di lui un adulto più che un adolescente, non a caso è una guida. L’unico ragazzo che sembra aver completato il proprio processo di formazione sembra essere proprio lui.

Michelle è una studentessa timida, introversa ed emarginata per il suo aspetto fisico e la sua goffaggine nelle attività motorie, si occupa dell’organizzazione della biblioteca. Brittanny, Nicole e Jordan sono tre ragazze ossessionate dal proprio corpo e dall’apparire. L’irrazionalità è sicuramente una loro caratteristica: mangiano per poi vomitare e sono protagoniste di dialoghi insensati.  Elias è un ragazzo solitario, creativo e sognatore, amante della fotografia.

I personaggi centrali della giornata sono Eric e Alex, due ragazzi vittime di bullismo con la passione per le armi. Alex è inoltre appassionato di musica ed Eric di videogiochi violenti: in tutta mimetica sono loro che si recano a scuola per seminare morte e terrore.

Poi c’è il coraggioso Benny, il prestante ragazzo di colore che aiuta Acadia a scappare attraverso una finestra e poco dopo viene ammazzato da Eric.

La formazione dell’adolescente in Elephant non è completa, perché non può essere vista nella sua interezza, e perché viene interrotta dalla distruzione, dalla morte causata dal male che agisce attraverso i due ragazzi armati. Un male che parte dalla casa, che agisce in quella che è una seconda casa, la scuola, e si sposta per mezzo di un’estensione della casa su ruote, l’automobile: il male si materializza in luoghi che invece dovrebbero essere sicuri, senza che nessuno sia capace di prevederlo o fermarlo. In questo senso è emblematico il fatto che durante la colazione la madre di Alex dica al figlio di ricordarsi di chiudere la porta a chiave, senza immaginare che il male sia in quella stessa stanza e non fuori dalla casa.

Quella di Eric e Alex è una fuga dalla realtà: incapaci di rapportarsi alla società in cui vivono e, non trovandovi un ruolo per sé, decidono di annientare i suoi membri e di suicidarsi (anche se Eric verrà ucciso dal suo amico Alex).

I codici della formazione dell’adolescente derivano dal gruppo dei pari, dai mass-media, dalla famiglia (nel film viene rappresentata praticamente assente), e dalla scuola che ha come funzione quasi esclusiva quella di controllo: non è un caso che gli spazi interni della struttura scolastica vengano rappresentati come oppressivi o spaesanti.  I luoghi e gli spazi della formazione sono quelli della casa e della scuola (compresi quelli dello sport) di un paesino di provincia.

La funzione dei media

Il modo di riprendere scelto dal regista ricorda in diversi tratti del film il modo in cui si vede sullo schermo della tv il videogioco sparatutto al quale gioca Eric: questo fa sembrare i ragazzi come persi, distaccati dall’ambiente, in un precario equilibrio dovuto ad un contatto minimo con il mondo che li circonda. Tra i colori c’è un’importante presenza sia del giallo che del rosso, sugli indumenti dei ragazzi (che li definiscono socialmente), sui loro capelli e in vari oggetti. Questi colori rimandano alle foglie degli alberi d’autunno (presenti anch’esse nel film), dunque alla fine del loro ciclo di vita e in precario equilibrio. È quindi presente, sia il riferimento all’età adolescenziale (precario equilibrio), sia alla tragedia con la quale si conclude il film: giallo e rosso sono i colori delle fiamme che divampano nella scuola durante il massacro.

Attraverso l’uso del medium cinematografico Van Sant  smonta le tesi accusatorie di televisione e stampa che dopo la strage danno le responsabilità a cinema, videogiochi, internet. Egli mostra, attraverso la scelta di raccontare ‘una normale giornata’, e in linea con la parabola buddista dell’elefante, come queste siano solo alcune delle componenti della vita degli adolescenti e probabilmente non le più determinanti nelle loro scelte.

All’interno del film sono diversi i media che svolgono un ruolo importante nel definire il processo di formazione dell’adolescente. Uno di questi è l’automobile che è presente chiaramente in due occasioni: la prima quando John è costretto a sostituire il padre alla guida mentre si dirigono verso la scuola; la seconda quando Eric e Alex vanno verso la scuola per compiere la strage. Gli adulti vengono dunque considerati incapaci di guidare e di proteggere gli adolescenti, contribuendo a lasciare un vuoto che può essere colmato sia dalle forze del bene e dalla razionalità (John) che dalle forze del male e dall’irrazionalità (Eric e Alex).

Il libro collega in qualche modo Michelle ed Eric: la prima lavora in biblioteca, il secondo viene mostrato mentre legge un libro a voce alta. La parola stampata è vista da McLuhan come un magazzino d’informazione e la tipografia causa della fine dell’uomo tribale, fortemente coinvolto nella vita della società a cui appartiene. Non sembra un caso che il libro accomuni Michelle ed Eric (che legge in presenza di Alex), due ragazzi per niente coinvolti nella società alla quale appartengono.

Le armi fanno la loro comparsa nel film quasi subito, è il padre di John che, rivolgendosi al figlio, gli parla di andare a caccia nel weekend e gli dice di volergli dare il vecchio fucile del nonno. John, ancora una volta, è refrattario agli stimoli negativi. Le armi compaiono nuovamente con Eric che gioca con lo ‘sparatutto’, quando Alan ordina un fucile su internet, quando arriva, quando Eric e Alan vanno a provarlo e poi, ovviamente, quando si compie la carneficina. Ancora una volta, John e il duo Eric-Alan, si trovano su posizioni diametralmente opposte, nonostante abbiano le stesse opportunità di utilizzare delle armi: dunque il vero problema non è l’accesso alle armi.

Nel profondo dell’America

La messa in parallelo delle prospettive e delle diverse individualità ribadisce, anche sotto l’aspetto cronologico, la netta chiusura di ogni singolo personaggio in sé stesso e nei confronti del contesto circostante, caratterizzato da diverse verità e realtà caratteristiche che possono essere indagate, e forse comprese, solo in una dimensione soggettiva. Il fatto di sviluppare i personaggi degli assassini come tutti gli altri serve proprio a far capire come questo ingombrante problema interno all’America venga trascurato ed ignorato il più possibile, preferendo occuparsi dei problemi esterni. Non a caso uno dei due assassini ha appeso al muro il disegno di un elefante, quasi a voler alludere al fatto che questo grande problema, di cui non si vuole conoscere la natura, sia proprio all’intero del luogo più quotidiano e più intimo che si possa immaginare: all’interno delle case, delle famiglie, radicato nel profondo dell’America, e non all’esterno.

Adolescenza inascoltata

L’adolescenza rappresentata in Elephant non ha voglia di diventare adulta. È autonoma, si autolegittima come età della vita e non di passaggio: gli adulti sono i protagonisti di un mondo di cui l’adolescenza non vuole fare parte. Non ci sono prospettive di futuro, la strage è una grande e folle esplosione che interrompe lo scorrere del tempo, lasciando i personaggi del film cristallizzati in un eterno presente. Gli adolescenti non vengono ascoltati veramente, vengono solo controllati: tutto va bene finché non avviene l’esplosione di violenza. E questa arriva improvvisamente, senza dei motivi chiari, perché arriva da un mondo che incute terrore, che la società non vuole prendere in considerazione per paura di veder svanire le proprie certezze.