Folle, grottesco e senza freni: Godard ci dà la sua visione della vita e della società.
“Weekend – Una donna e un uomo da sabato a domenica” è un film drammatico del 1967 diretto dal visionario e anticonformista Jean-Luc Godard.
Corinne e Roland sono i protagonisti di un matrimonio non propriamente felice. Tensioni e battibecchi sono all’ordine del giorno. Come ogni weekend decidono di prendere la macchina per recarsi nel paese di provincia in cui vivono i genitori di lei, una famiglia molto ricca.
Marito e moglie inoltre, consapevoli di ricevere un’importante eredità in caso di morte del padre di Corinne, cercano sistematicamente di avvelenare quest’ultimo. Roland e Corinne il sabato mattina di un non definito mese partono in macchina alla volta del paesino, vivendo tutta una serie di situazioni grottesche e surreali facendo inoltre la conoscenza di tanti bizzarri “personaggi”.

Weekend è senza ombra di dubbio una delle pellicole più iconiche del regista parigino. Il suo quindicesimo film nonché l’ultimo del periodo “primo” che va dal 1960 al 1967 è un tripudio di anarchia registica e narrativa.
Nonostante la trama del film sia apparentemente immediata e strutturalmente semplice in realtà cela al suo interno una fitta rete di sottotesto a sfondo politico e sociale. Durante il loro viaggio i protagonisti vivranno numerose situazioni grottesche e surreali che andranno a frammentare la loro traversata tra le campagne francesi.
Ogni “interruzione” del loro viaggio è causata quasi sempre da una situazione di violenza: dai numerosi e cruenti incidenti stradali a folli bande di criminali assassini.
Gli inevitabili scontri umani a cui i protagonisti del film partecipano sono gli strumenti di cui Godard dispone per manifestare il suo odio nei confronti della società consumistica e capitalista. Esemplare è la sequenza nella quale una donna, scampata all’ennesimo incidente stradale (l’auto per Godard è il simbolo del capitalismo), si dispera perché all’interno del rottame in fiamme vi è intrappolata la sua borsa firmata, totalmente noncurante delle eventuali vittime.

L’aspetto interessante dell’opera, uno dei tanti, è che il regista di stampo marxista non rivolge il suo sguardo dissacrante solo nei confronti dell’ala politica e culturale “nemica”. Il suo sguardo critico coinvolge tutto e tutti: persino sé stesso.
Roland: “Questo film fa schifo. Non ti sembrano tutti pazzi?”
Corinne: “Colpa tua che credi ancora a Godard.”
Ad una scrittura su più strati si fonde una regia cruda e che cerca di far sentire la presenza della macchina da presa in ogni singolo momento, in pieno stile Nouvelle Vague. Falsi raccordi, montaggio discontinuo, primi piani frontali in cui subentra in suono off il pensiero dei personaggi inquadrati, e ovviamente l’utilizzo delle panoramiche e delle carrellate.

Godard libera la sua fantasia più sfrenata mettendo inoltre in scena la carrellata più lunga della storia del cinema: la macchina da presa si muove sul ciglio di una strada di campagna seguendo l’andamento della macchina dei protagonisti che si destreggia nell’ingorgo stradale percorrendo più o meno 300 metri in 9 minuti circa.
D’impatto l’utilizzo delle inquadrature fisse frontali sui personaggi che, senza parlare effettivamente in campo, comunicano allo spettatore attraverso il voice off, come sopracitato. Il regista utilizza questo espediente per fare recitare ai personaggi dei veri e propri monologhi estesi a sfondo psicologico e sociale.

Godard sfrutta la macchina da presa, il montaggio e la narrazione con una libertà assoluta, unendo perfettamente forma e contenuto in un connubio che riesce tanto a divertire, viste le situazioni folli che i protagonisti vivono, quanto soprattutto a far riflettere. Se si vuole approfondire la visione che Godard ha della società e della politica, questo è il film perfetto.